Costruire senza demolire: Architetture sospese | The Plan
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Costruire senza demolire: Architetture sospese

Will Alsop – aLL Design

Costruire senza demolire: Architetture sospese
Scritto da Will Alsop -

Lo spirito di ribellione non esiste più. Quell’eccellente whisky invecchiato è evaporato. Una volta aperto e versato in un bicchiere, non è altro che “acqua naturale” venduta a cifre da capogiro e trangugiata tutta d’un fiato. Le regole del mercato, l’assenza di rischi e la conformità stanno prevaricando sul piacere.

Triste.

L’estromissione dell’architettura dalle forme d’arte è all’ordine del giorno.

Ma da cosa deriva il piacere?

Il progresso della condizione umana è legato a creatività, curiosità e voglia di vivere con meno difficoltà e qualche soddisfazione in più.
Alcuni architetti realizzano progetti che danno piacere, a volte anche in modo inaspettato. Sono le cose semplici, come un foglio bianco, una penna e un vaso di fiori accanto a una spremuta, quelle capaci di infonderlo, dare pace e innescare l’immaginazione, dando così inizio a qualcosa di migliore. Un po’ come ballare!
Le reazioni negative all’avanguardia o ai cambiamenti radicali dovrebbero essere ripagate con la stessa moneta.
Sicuramente l’assenza di una metodologia, di uno stile o di un’estetica dominanti comporterebbe una libertà di azione totale; ma è altrettanto vero che gran parte di ciò che identifichiamo come perfetto e curato nel dettaglio è economicamente inarrivabile. È indubbio che la disponibilità economica incida sull’architettura, tuttavia oggi gli standard fissati dal mondo high-tech sono inaccessibili. In effetti, il fallimento di questo stesso stile, proprio come accadde per il postmodernismo, deriva dalla sua innata attitudine a ridursi a mero gesto simbolico. Oggi sta emergendo una nuova tendenza, la “Architettura Grezza”, che ci consente di allontanarci dalla dittatura del dettaglio perfetto.
Tradizionalmente considerata la “Madre delle Arti”, oggi l’architettura vede la propria componente artistica bistrattata, sottovalutata e spesso abbandonata. Numerose culture e società le hanno voltato le spalle quale pratica eccelsa, raffinata, in grado di cambiare le sorti dell’uomo, riducendola invece a mera produttrice di edifici. Le cause vanno ricercate nella globalizzazione, che ha alimentato l’idea di business a ogni costo e favorito l’idea che gli studi possano aggiungere valore alla propria progettazione optando per una crescita per acquisizione, piuttosto che innalzare il livello qualitativo.

Triste.

Per pure ragioni economiche, molti giornalisti sono obbligati a focalizzarsi su progetti irrilevanti, sottraendo così spazio alla scoperta di quanto è innovativo, originale, sconosciuto, colorato, ecc.

E quindi?!

E quindi concentriamoci sulla ricerca. Essa coinvolge un grande numero di individui e può essere condotta in vari modi. Oggi stiamo assistendo a una (auspicata) evoluzione naturale dello spazio fisico, in cui la varietà degli interventi di espansione e sviluppo urbano arricchisce umanamente la nostra esistenza. Ma come può trasformarsi un luogo?
Ho parlato spesso di progettare zone libere senza mai averne realizzata una. È una decisione di carattere politico ancora prematura, ma io continuo a sognare.
La condizione di vecchio continente dell’Europa, ora in un periodo di rallentamento della crescita economica, sta iniziando a generare luoghi pieni di vita, in cui budget esigui e il rischio di inazione sono una combinazione potenzialmente favorevole.
Abbiamo la possibilità di guardare al futuro con occhi diversi. Gran parte dell’arte in architettura è stata annientata dalla democratizzazione del processo, un’espressione apparentemente positiva che però dà luogo a una mediocrità dominante. In linea generale, pur trattandosi di uno scenario consolidato, solo oggi questo fenomeno ha intaccato in maniera irreversibile la fame di cambiamento e di innovazione. Da qui, ecco la cosiddetta “morte dell’architettura”, una malattia terminale in grado di infettare l’istinto naturale di ricerca (che a sua volta alimenta il fuoco dell’invenzione).
Intendo promuovere un “contesto” in cui siano indispensabili la ricerca e l’esplorazione.

Senza abbattere nulla.

Molto di ciò che costruiamo sgretola le comunità, con la conseguente perdita di credibilità da parte degli architetti, ma soprattutto con l’insorgere di problemi sociali. Ultimamente sono stati condotti interventi meritevoli, ma quando ci si imbatte in espressioni quali “rinnovamento urbano”, “riqualificazione” e “fornitura di alloggi”, nella maggioranza dei casi si tratta di progetti di bassa qualità.
La verità è che la gente, essendo abituata a ciò che esiste, si sente minacciata quando buona parte del vecchio viene eliminata per fare spazio al nuovo. Lo stesso vale per l’invasione di ampie zone vergini e la conseguente dispersione urbana.
La familiarità appaga. Le persone amano ciò che conoscono, anche se di cattivo gusto, nonostante gli ampliamenti, le alterazioni e le addizioni siano parte dell’evoluzione, a sua volta parte della vita. E comunque è necessario assecondare le continue trasformazioni dei modelli culturali e della distribuzione spaziale.
L’innovazione tecnologica riveste inoltre un ruolo di primo piano nelle nostre possibilità di azione, sebbene la quasi totalità degli edifici (non dell’architettura) sia obsoleta e superata, tecnologicamente datata e inappropriata.

Che fare?

Il valore degli immobili privi di garage è tuttora sottostimato nonostante i recenti sviluppi tecnologici mirati alla diffusione di veicoli senza conducente lasci auspicare un futuro in cui con una semplice chiamata sarà possibile avere a disposizione davanti a casa una macchina per i propri spostamenti, facendo quindi calare drasticamente l’esigenza di un mezzo proprio.
Sebbene l’espressione “realtà virtuale” sia un po’ superata, sono stati fatti progressi tangibili che sono certo porteranno a una sua maggiore presenza all’interno dell’abitazione. Darà modo di viaggiare, incontrarsi a distanza, favorendo infine forme tattili di comunicazione.

In che modo questa evoluzione inciderà sullo spazio?

Ogni quartiere avrà una fattoria virtuale per la vendita di prodotti freschi. Vivremo più a lungo!
I nostri corpi saranno i computer del futuro!
Eccetera eccetera eccetera.

Tuttavia, lo spazio con cui dobbiamo fare i conti è quello fisico.

La mia proposta è di costruire al di sopra della struttura urbana esistente. Una densità in evoluzione e un’eterogeneità architettonica arricchirebbero le città, offrendo al contempo tutto lo spazio necessario. Si dovrà inoltre procedere a una ridefinizione dei confini, processo tutt’altro che semplice per via della dispersione urbana. Nel medioevo, le cinte murarie difensive davano un senso di identità al luogo; anche oggi sarebbe importante ripristinare questo senso di appartenenza servendosi di elementi della contemporaneità: nel caso di Londra, per esempio, si potrebbe sfruttare come linea di demarcazione l’autostrada M25.
Costruire sopra edifici esistenti consente di implementare il tessuto con un nuovo strato, ampliando così il ventaglio di esperienze e rafforzando la vicinanza a infrastrutture esistenti e ottimizzate.
La grande diversità di approcci da parte degli architetti è una magnifica opportunità per tramutare in nucleo urbano un mix eclettico di nuovi edifici (alcuni dei quali potrebbero essere considerati vera architettura). Senza uno stile o una metodologia predominante, l’esperienza metropolitana può essere esaltata e valorizzata: è più che giusto che le nostre città riflettano la propria composizione multiculturale, soprattutto a fronte di una maggiore apertura dei confini internazionali. L’emergere e la conseguente visibilità delle moschee a Londra è una buona cosa.

Il mio appello è incentrato su tre concetti: celebrare l’identità, definire i confini e mantenere gli edifici esistenti. Questa è la strada giusta per tenere saldo lo spirito di ricerca e di esplorazione. Morte al minimalismo! Ricordiamocelo come uno stile, null’altro!

P.S. Il termine “contesto” deve essere ridefinito.

Will Alsop

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