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L’architettura si prende il suo spazio

Kim Herforth Nielsen

L’architettura si prende il suo spazio
Scritto da Kim Herforth Nielsen -

L’architettura non è un’arte libera e svincolata, bensì fisica, tangibile, strettamente correlata a un fine. Ha il potere di influenzare il contesto in cui si trova e la vita delle persone che vi si relazionano, andando inoltre a plasmare il modo di agire dell’uomo: la forma che diamo a un edificio ispira il modo in cui gli individui vi si approcciano e rapportano. Un concetto attuabile anche su più larga scala: costruiamo un edificio per farlo interagire con la città; questo è ciò che a mio avviso rende l’architettura affascinante.
Le città sono in fase di sviluppo non solo in Cina, India e Brasile, bensì anche in Europa. Le sfide affrontate dagli architetti contemporanei (cambiamenti climatici, densificazione urbana, domanda crescente di efficienza energetica, rapida globalizzazione) ci confermano l’attendibilità delle teorie dell’architetto e urbanista danese Jan Gehl. Nei primi anni Settanta, egli basò la propria attività di progettista, ricercatore e scrittore sulla necessità di mettere al centro della pianificazione l’uomo e l’ambiente, sostenendo che “organizzare la vita pubblica in spazi collettivi di valore è essenziale per una vita piena e democratica”. Più di recente, lo stesso Gehl ha affermato che “quando poniamo le basi per una città a misura d’uomo, creiamo allo stesso tempo un centro urbano più pulsante, sicuro, sostenibile e salubre”.

La densificazione impone una sfida agli architetti:
creare luoghi in cui vivere bene
Nei centri urbani realizzati in tutto il mondo negli ultimi decenni, le componenti della vita quotidiana (lavoro, famiglia e socialità) sono fisicamente separate. Ci siamo tuttavia accorti, fortunatamente, che le città rispondono al meglio quando questi aspetti sono integrati tra loro. Da Jan Gehl apprendiamo che è necessario trarre spunto dal passato. Le città storiche ci lasciano in eredità delle qualità da sfruttare sia per migliorare le nuove infrastrutture, sia per riplasmare i centri esistenti che si stanno espandendo a causa dei flussi migratori dai piccoli ai grandi agglomerati urbani. In qualità di progettisti e urbanisti, dobbiamo creare edifici e luoghi che aiutino e mettano in comunicazione gli individui e le comunità. L’architettura deve catalizzare un ampio ventaglio di obiettivi e di attività. La sfida per i pianificatori del XXI secolo sta nell’andare oltre la nozione secondo cui “la forma segue la funzione”. Chi costruisce si interfaccia con così tanti livelli da parlare oggi di “forma dettata dalla responsabilità”.

L’architettura è un atto ottimistico:
Possiamo progettare e costruire per un futuro migliore
Credo che l’architettura abbia l’obbligo di dare un valore aggiunto alla costruzione, creare qualcosa di più grande di una semplice somma delle parti, di un bell’edificio privo di relazioni con un contesto più ampio. Dobbiamo tenere conto di sito, contesto e comunità. Esempio calzante e personale fonte di ispirazione è la High Line di New York. Qui, urbanisti, architetti e cittadini si sono uniti per riqualificare una vecchia ferrovia industriale dismessa, trasformandola in un parco sopraelevato e in un luogo di aggregazione. Il progetto, accolto con favore da residenti e turisti, ha avuto grande successo, comprovato anche dallo sviluppo commerciale del Meatpacking District che, a pochi anni dalla creazione del parco, è divenuto una delle maggiori mete turistiche e uno tra i punti di ritrovo preferiti per la popolazione locale. Un intervento capace di ridefinire il concetto di “spazio pubblico” in un centro urbano densamente popolato come quello di New York.
Dieci anni prima del suo completamento, ho iniziato a riconoscere il potere dell’architettura nell’influenzare il modo di agire degli individui e nel contribuire al contempo allo sviluppo comunitario. Tutto questo è accaduto quando a 3XN è stata affidata la progettazione del Muziekgebouw di Amsterdam. Il committente aspirava a qualcosa di più di una sala concerti, ambendo a una struttura simile “a una locomotiva, a un catalizzatore di eventi”. Oltre a creare un luogo eccezionale dove godersi concerti live di jazz o di musica contemporanea, l’obiettivo era dare vita a un’architettura capace di intrecciarsi con il tessuto sociale del quartiere, a sua volta inserito nel masterplan a firma di OMA, facendo di un edificio culturale una meta al di fuori del centro cittadino. A prescindere dal calendario di eventi, la struttura rimane a disposizione della comunità 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica. Le ampie scalinate che conducono all’interno fungono anche da elemento di connessione con il molo e vengono sfruttate da residenti e turisti come luogo di ristoro. L’estetica complessiva gioca sulle trasparenze e sul gioco di luci. Il Bim Huis, o Casa del Jazz, presenta una facciata vetrata al di là del palco, così da consentire ai passanti di dare un’occhiata ai concerti e alle attività in corso; il tutto mentre le luci della città fanno da sfondo scenografico alle note di jazz. Nella sala concerti di contemporanea, invece, un dispositivo luminoso pulsa a ritmo di musica, permettendo così un’esperienza uditiva e visiva straordinaria. Nel creare un edificio che abbraccia intenzionalmente il contesto, si invitano così le persone a sfruttarlo in una miriade di modi. Prendere parte a un concerto è solo il primo di tanti: il Muziekgebouw promuove l’interazione tra appassionati di musica, residenti e turisti, rafforzando i legami della comunità e arricchendo il tessuto urbano.
Un altro nostro progetto, chiamato “Plassen”, si riallaccia a questo mondo. A Molde, in Norvegia, il Teatro e la Casa del Jazz ricordano un enorme ritaglio di carta. Il complesso si radica letteralmente al terreno, le sue forme si avviluppano su loro stesse, dando vita a un elemento unitario in cui si fondono interni ed esterni, superfici e copertura. All’interno di Plassen, letteralmente “piazza” o “spazio” in norvegese, la maggioranza degli spazi è multifunzionale. Il tetto dell’edificio e una scalinata preesistente posta a lato ospitano tre anfiteatri all’aperto, in grado di accogliere 700 spettatori. Durante la giornata, si può accedere in copertura a una caffetteria con tavoli all’aperto, un’area ricreativa con un panorama meraviglioso e uno spazio espositivo per la galleria del complesso. Le scale a fianco, invece, sono un importante elemento di connessione fisica, mettendo in comunicazione i distretti nord e sud, e sociale, creando un’unica comunità.

Favorire nuovi metodi di apprendimento
Poco dopo l’inaugurazione del Muziekgebouw, abbiamo iniziato a lavorare su un progetto scolastico in Danimarca che ci ha permesso di sperimentare ulteriormente le potenzialità dell’architettura rispetto a fruitori e contesto. L’Ørestad Gymnasium è una scuola superiore in un nuovo quartiere di Copenhagen. Ispirandoci alla riforma scolastica e a un’innovativa filosofia pedagogica, abbiamo concepito un istituto in grado di incoraggiare collaborazione, formazione interdisciplinare, capacità di apprendimento e di problem solving. Un progetto che ha portato a una ridefinizione radicale del concetto di “scuola superiore”, un istituto dotato di poche aule, molti open space e nessun corridoio. Il tutto per incoraggiare gli studenti a prendersi le proprie responsabilità in ambito formativo, svolgendo lavori di gruppo oppure studiando in autonomia.
La progettazione ha proceduto dall’esterno verso l’interno e viceversa. La scuola si apre sulla strada con ampie vetrate e un’accogliente caffetteria al piano terra; una volta entrati, si può notare come gli ambienti si colleghino verticalmente e orizzontalmente. Esattamente come accade nella pianificazione urbana, l’obiettivo che ci eravamo posti ha influenzato la forma dell’edificio, un luogo di interazione ricco di attività durante tutto l’arco della giornata. Quattro piante a forma di boomerang si sovrappongono ruotando l’una sopra l’altra, formando una superstruttura che costituisce lo scheletro dell’architettura, semplice e molto flessibile. Altrettante zone studio occupano ciascuna un livello. Eliminando la necessità di cambiare piano, si garantisce la massima adattabilità organizzativa, con spazi di formazione e apprendimento liberi da vincoli spaziali e in grado di interagire o fondersi tra loro. La rotazione consente a una porzione di ogni livello di aprirsi sull’atrio centrale, favorendo il senso di comunità e incarnando l’ambizione di questa scuola: fornire un’istruzione interdisciplinare.
Destinato inizialmente a ospitare 800 studenti, grazie alla sua flessibilità l’istituto ne accoglie 1.200, attirati da come istruzione e architettura si fondono e sostengono a vicenda. Una volta usciti, saranno più preparati dei coetanei ad affrontare la vita reale.

Un servizio, non una scultura
L’architettura, come tutto nel mondo, si sta evolvendo a una velocità mai vista prima. I problemi delle nostre città si stanno facendo sempre più complessi. Le principali sfide che dobbiamo affrontare sono uno stimolo per creare un’architettura che formi al meglio il modo di agire delle persone. Gli interessi economici hanno un peso specifico crescente, di conseguenza la progettazione si sta muovendo per andarvi incontro. L’architettura è al servizio di utenti, contesto, committente e ambiente di riferimento. In qualità di pianificatori, dobbiamo farci carico delle nostre responsabilità. Usare la forma per risolvere queste sfide, dando inoltre un valore aggiunto all’individuo e alla città, è proprio quello che dà vita a un’architettura appassionante.

Kim Herforth Nielsen

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