Lou Pérou. Fu così che, negli anni Cinquanta, Eileen Gray chiamò la sua casa nel sud della Francia, ultima di una triade di residenze ricche d’inventiva, progettate per suo uso personale. L’architetto irlandese, una tra gli esponenti più riservati del modernismo, voleva forse trasmettere la sua Wanderlust attraverso questo nome. Agli occhi della Gray, infatti, il Perù appariva una meta esotica, alla pari del leggendario El Dorado.
A distanza di sessant’anni, lo studio Grafton Architects, guidato dalle sue connazionali Yvonne Farrell e Shelley McNamara, ha completato la prima fase di una struttura rimarchevole, situata a Lima, capitale del Perù in rapida ascesa. Proprio qui, in un paese che allo stato attuale ha ben poco di fantasioso da offrire, le due progettiste hanno realizzato un’architettura in calcestruzzo grande e imponente, dove aule, terrazze sopraelevate e spazi comuni riparati vengono impilati gli uni sugli altri. Un risultato figlio del coraggio e di un atteggiamento fiducioso, che avrebbe sicuramente trovato l’apprezzamento della Gray.
Secondo le indicazioni della committenza, la nuova Università di Tecnologia e Ingegneria (UTEC) avrebbe dovuto ospitare classi, laboratori, auditorium e uffici. Grafton Architects, unico studio non peruviano a superare la prima fase del concorso, si è attenuto in maniera scrupolosa alle richieste, aprendo letteralmente la massa, in tutta la sua ampiezza, alla luce e all’aria. Il progetto sfrutta le dimensioni dell’architettura per farne, verso nord, un’enorme barriera come schermo a un tratto trafficato dell’autostrada, riuscendo al tempo stesso ad aprire un ampio corridoio al livello stradale, a servizio tanto dell’università quanto della comunità locale. Ne risulta un’atmosfera tra il luogo urbano e l’ambiente di lavoro.
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